All’università litigavo con la gente sulla decisione “andarsene o restare”. Io sono sempre stata una sostenitrice del restare, ma non m’è mai sembrata una cosa da sfigati, piuttosto una presa di posizione incazzosa, del tipo: “i miei avi hanno buttato sudore e lacrime su ‘sta terra, non esiste che io me ne vado”, una cosa così.
Però è pure vero che certe zone sono più faticose rispetto ad altre, e certe volte so’ terrorizzata dai vari scenari che mi si possono aprire davanti. Perciò oggi non sono più così estremista, non ce l’ho più con chi se ne va via, lo capisco… non mi fa più l’effetto “che fico!” che mi faceva a 15 anni, ma non mi fa manco più incazzare come a 20.
Però penso che una cosa bisogna farla, prima di decidere se andare o restare: chiedersi il perché. Dato che alla fine non c’è una scelta giusta o una sbagliata, e che tanto entrambe le decisioni ti faranno faticà, conviene sapere per cosa faticherai, almeno lo farai in pace.
Il luogo dove ti senti a casa è il luogo dove trovi i valori che ti corrispondono, come dico sempre: quelle storie che ti racconti e che danno valore alla tua vita le trovi in un luogo dove qualcuno le ha messe prima di te e qualcun altro le manda avanti.
Però quelle storie le devi conoscere, i valori di un certo territorio devono uscire (valorizzare, si dice…) altrimenti come si fa a scegliere bene.
Quei valori stanno nei musei, nel paesaggio, nelle cose che si mangiano, nelle musiche che si danzano, nei racconti che si fanno… Tutte cose intrecciate insieme come la trama di un tessuto, diverso da zona a zona e sempre interessante, e io, che sono una tizia ostinatamente di provincia, parlo di quelle cose lì.
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