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Due cose su Chiara Frugoni

Oggi è venuta a mancare Chiara Frugoni, così ho fatto delle storie su Instagram e qualche recensione per dare una mano alle persone che mi seguono sui social e che magari vogliono orientarsi tra il suo lavoro e leggere qualche suo libro.

Prima di iniziare con questa operazione, ero, in realtà, un po’ titubante, perché mi scoccia questa abitudine per cui si parla sempre della gente quando viene a mancare, e magari mentre è in vita i contenuti sui social col suo lavoro non li facciamo mai. Però alla fine ho pensato che io, di Frugoni, parlo spesso: l’ho studiata molto per la tesi triennale, ho imparato molto dal suo lavoro e, soprattutto, tengo sempre bene in mente, per il lavoro di comunicazione che faccio, le parole che usa nella prefazione a “La voce delle immagini“.

Una comunicazione che voglia davvero arricchire l’altro lascia sempre spazio ai suoi pensieri, ai suoi discorsi, alle sue esigenze.

C. Frugoni, La voce delle immagini, Torino, Einaudi 2010, p. XXII

E comunque ecco qui qualcosa sul lavoro di Chiara Frugoni.

In un libro, in testo scritto, non c’è “la Verità” assoluta, ma il punto di vista di chi lo ha scritto, quel libro, oppure le idee, più o meno faziose, che l’autore voleva diffondere o tramandare. Le immagini, nonostante la nostra persistente idea per cui se una cosa “la vedi con i tuoi occhi” allora è reale, funzionano alla stessa maniera: servono a chi le realizza per riconoscere le cose in cui crede e che ritiene vere, ma servono pure per dare un’immagine di sé, per diffonderla e comunicarla, o per dare messaggi più o meno faziosi e più o meno espliciti.

è così oggi, ed era così in passato. Chi fa il mestiere dello storico sa bene come trattare i documenti scritti, mentre le immagini sono spesso trattate a parte, come una competenza da storici dell’arte, come se l’unico messaggio che possono riferire dal passato sia quello delle ragioni storiche che hanno determinato un certo stile.

C. Frugoni, la grammatica dei gesti. Qualche riflessione in comunicare e significare nell’alto medioevo Atti del convegno ( Spoleto, 15-20 aprile 2004) vol II, Spoleto, fondazione CISAM, 2005, pp. 895-939.

Frugoni, che non parla mai di stile, scrive spesso dell’importanza di utilizzare le immagini come fonte storica; come documento, cioè, delle dinamiche esistite tra le persone coinvolte nella produzione e nella circolazione di opere d’arte figurativa. L’immagine è prodotto di un compromesso, di un accordo che esiste tra chi paga e chi produce, e questi si capiscono tra loro perché hanno come base una cultura comune, se non per quanto riguarda le nozioni (uno dei due può essere più istruito) sicuramente riguardo i propri ruoli (chi commissiona l’opera decide, l’altro ha mestiere e tradizione) ovviamente questo rapporto deve tenere conto della tradizione iconografica, di come, cioè, si è rappresentato fino ad ora quel tale concetto, altrimenti chi dovrà guardare l’immagine, chi dovrà usarla, non capirà cosa sta guardando.

Ed ecco che la creazione di un’immagine, di qualsiasi tipo, è specchio di un momento storico e sociale e, secondo Frugoni, non va “interpretata”, ma letta mettendo in campo le conoscenze del contesto culturale che lo storico ha, e quindi facendo confronti, relazioni, e paragoni con i testi scritti, gli oggetti d’uso quotidiano, l’attenzione ai cambiamenti…

C. Frugoni, dalla voce Iconografia e Iconologia, in Enciclopedia dell’Arte medievale, vol. VIII, Treccani, Roma (1996), pp. 282-286.

Sicuramente Frugoni conosce i lavori dell’Istituto Warburg, che con fatica entrano in Italia negli anni in cui lei si sta laureando. Grazie agli studiosi che gravitano intorno alla Normale di Pisa, infatti, i lavori dell’Istituto Warburg riescono a penetrare faticosamente nella compatta tradizione di studi italiana, che si rapporta alle opere d’arte figurativa con approccio fondamentalmente estetizzante.

Come anche Warburg ripeteva spesso, quando c’è un cambiamento nel tradizionale modo di rappresentare qualcosa, significa che c’è stato un cambiamento anche nella cultura di chi quella cosa la rappresentava, e anche Chiara Frugoni fa suo questo concetto.

è proprio confrontando le diverse immagini di San Francesco d’Assisi che Frugoni vede dei cambiamenti fondamentali; confrontando i testi con queste immagini, e applicando il tutto alle sue conoscenze sugli eventi storici seguiti alla morte di Francesco, riesce a portare alla luce una storia “non ufficiale” del santo. Una storia non ufficiale che riemerge proprio attraverso le immagini: oggetti che non è così facile distruggere perché portano con sé anche un significato profondamente simbolico.

Da questo ragionamento scaturisce probabilmente l’interesse per le immagini meno appariscenti (come gli ex-voto) che la studiosa considera una fonte privilegiata per avvicinare la cultura delle classi subalterne, o delle donne.

Oltre San Francesco d’Assisi, i suoi studi hanno interessato la Cappella Scrovegni a Padova, gli affreschi con i temi della morte, la figura della donna, la vita quotidiana nel Medioevo…

Qui ci sono alcuni dei libri che sto consigliando a chi mi chiede info sui social, magari è utile: ECCOLI

Ho visto che nei numerosi articoli che la stampa ha dedicato a Frugoni, difficilmente (forse mai?) si è rinunciato a scrivere di chi è stata figlia, di chi è stata moglie, e con quale noto divulgatore televisivo ha collaborato (in effetti, questo noto personaggio è stato suo allievo…) perché questo è quello che succede quando si parla di una donna.

Io vorrei invece concludere questo super sintetico contributo ricordando la collaborazione con Vinicio Capossela. Non conoscevo personalmente Chiara Frugoni, perché averla vista un paio di volte non significa conoscerla, dai… ma questa collaborazione mi fa pensare a una studiosa che ha voglia di sperimentare nuove ricadute del suo lavoro, nuove possibilità di comunicazione dei risultati dei suoi studi e, soprattutto, a una studiosa che non ha intenzione di barricarsi nella famosa torre d’avorio e che non concepisce la conoscenza come qualcosa di elitario. Magari è una mia interpretazione eh, ma io la immagino così, e così penso a lei, sempre ricordando le belle parole di quella prefazione…

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