Quando rompo le balle col parlo di piccolo museo, parlo di un museo che è tipo un fiorellino ricamato su una tovaglia, dove altri fiorellini (gli edifici, il paesaggio, le tradizioni…) sono collegati a lui, perché sono tutti ricamati sulla stessa tovaglia con lo stesso filo🌸
e il ricamo lo hanno fatto le persone che vivono su quella tovaglia, vivendo e facendo le loro cose per secoli su quel territorio lì.
Ok, fine immagine romantica. Per capirci meglio userò un’espressione di Enrico Castelnuovo, convintissimo che le situazioni sociali e politiche siano utili a comprendere il panorama “artistico”, quindi è uno che ha ragione 😆
Dopo la Rivoluzione in Francia le opere di nobili e clero vengono prese, tolte dal loro contesto e messe nei musei, ad imperitura memoria e gloria della Nazione, cioè usate come simboli della nazione e mostrati alla gente per insegnare la storia di Francia. Così nascono i musei nazionali francesi.
Se non le avessero messe nei musei i rivoluzionari incazzati le avrebbero distrutte. Castelnuovo la chiama “iconoclastia incruenta” .
Perché per far diventare l’opera un “monumento” la devi togliere dal suo contesto, da tutto quel sistema di collegamenti in cui viveva e in cui è stata creata, la rendi mito, la rendi ideale, le togli una gran parte di potere simbolico e comunicativo. Praticamente tagli tutti quei legami che erano alla base della ragione d’essere di quell’opera e le dai una veste nuova.
perciò sottrai significato – e quindi potere – all’immagine (iconoclastia), e come lo fai? Mettendola nel museo, rendendola qualcosa “d’altro” ma non distruggendola (incruenta). Così nasce l’idea di museo moderno. Molti musei sono ancora così.🤔
Ma si può fare davvero cultura se si tagliano i legami col territorio? Non è una domanda retorica eh, è proprio ‘na domanda➡️❓
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