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Annibal Caro e Gombrich

Annibal caro era de Citanò, come me. Intanto diciamo questo 😆
Poi diciamo che come molti umanisti, ha preparato, oltre alle note traduzioni, i programmi iconografici per alcuni affreschi e decorazioni.

Cioè decideva in che modo un concetto si tramutava in immagine. Infatti si scrive lettere con Vasari e altra gente del mondo dell’arte del 500.

La cosa che qui ci interessa è che una di queste lettere l’ha messa all’inizio del suo libro nientepopodimeno che Ernst Gombrich. che è uno storico dell’arte del 900

Per quanto non sia d’accordo con alcune cose sue (molto molto umilmente, eh 🤗) Gombrich era un gran, gran fico. Uno dei motivi per cui ho ricominciato con l’università. Gombrich è stato uno di quegli storici dell’arte che si interrogano sul perché del dipinto, anziché sulla forma o sulla bellezza, e così riconoscono del dipinto una testimonianza storica.

“In un opera simile vorrei la scrittura appunto come il parlare, cioè ch’avesse piuttosto del proprio, che del metaforico o del pellegrino; e del corrente, più che dell’affettato” (Annibal Caro a Giorgio Vasari, 11 dicembre 1547).

Questa frase di Annibal Caro, Gombrich la usa per fare chiarire la sua intenzione nel raccontare la storia dell’arte: spiegare qual’era l’intento del pittore di ogni opera, situare l’opera nel suo momento storico.
Non più capolavori immortali di ogni tempo, quindi, ma pittori che mandano un messaggio a un pubblico di loro contemporanei. E a noi, oggi, quel messaggio ci parla del passato 🤩

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