Come è fisso l’ordito in un telaio, così sono fissi il tempo e le condizioni che un territorio detta a chi ci vive. In un dato posto e in un preciso momento una comunità puà avere bisogno di definirsi, o di farsi coraggio, di spiegare a sé stessa qualcosa, di festeggiare, o di mostrarsi ad altre comunità. Le feste e le tradizioni servono a questo, a ricordarci chi siamo.
Nel telaio, però, la trama non è “fissa”, la decorazione è da decidere, così come le reazioni che la collettività può avere ad un evento su cui non ha potere, così come la trama delle storie che si tramandano di generazione in generazione.
Sui Sibillini è tessuta la trama di una storia, quella della Sibilla dell’Appennino, che cambia sempre forma e “decorazione”.
Le fila di tutte le storie sibilline sono flessibili: le sibille sono esseri indefiniti fin dalle prime testimonianze nella Grecia antica, e si sono prestate ad essere intrecciate con facilità nel tessuto culturale di diverse comunità. Sono state preziose presenze del politeismo greco, annunciatrici di Cristo, streghe misteriose, vergini e poi donne perdute, annunciatrici di disgrazie e di grandi gioie, testimoni di rinnovamenti dinastici, e personaggi letterari…
Il territorio dei Sibillini
La Sibilla dell’Appennino è particolare e la troviamo descritta in due romanzi (Guerrin Meschino e Le Paradis de la Reine Sibille) che trattano temi tipici della letteratura cortese. Un romanzo francese e uno toscano, che contengono grossomodo lo stesso materiale, ci ricordano che la cultura non conosce confini amministrativi e che le tradizioni si presentano più come biglietto da visita che come barriera difensiva. In entrambi i testi troviamo infatti il cavaliere dai princìpi cristiani e le diverse prove che egli deve superare. La Sibilla dell’Appennino rappresenta uno degli impedimenti di questo cavaliere: un’infida seduttrice, una donna magica e perduta che vuole fargli smarrire la retta via…
Secondo i romanzi la grotta della Sibilla è un luogo pericoloso, qui il cavaliere che voglia avventurarsi, rischia di restare incantato dalla lussuria e dal peccato e di rimanere intrappolato fino alla fine del mondo, giudicato e condannato da Dio.
La Regina-Sibilla viene raccontata migliaia di volte, forse prima ancora della pubblicazione dei romanzi; le sue storie fanno parte della tradizione del territorio, e la tradizione è trasmessa oralmente da pastori e contadini, da nonni e genitori che raccontano ai giovani della fantastica reggia di Sibilla, nel cuore del monte che porta il suo nome.
Ogni volta che si racconta questa storia, essa segue le sorti di tutti i racconti orali e lentamente cambia per adattarsi alla cultura di coloro che la trasmettono, così si intreccia ancora una volta nel telaio della loro storia. Nel corso del tempo alla sibilla dei romanzi si sono sovrapposti dunque numerosi elementi, dovuti all’ingresso di nuovi saperi e valori nella cultura di coloro che raccontavano; ecco che la sibilla maliarda diventa strega, e poi diventa fata, e le sue ancelle diventano fate esse stesse assumendo caratteri della cultura popolare nordeuropea. Finita l’era delle streghe e dei negromanti, la profetessa si trasforma da essere infido e malvagio a buona maestra che insegna il saltarello ai pastori e la tessitura alle ragazze…
I due spettacoli
Nella settimana di Ferragosto la sibilla dell’Appennino è stata ancora raccontata attraverso due spettacoli teatrali, uno a Sarnano e l’altro a Pretare: due paesi che hanno raccontato la loro storia, come da tradizione, attraverso quella della leggenda sibillina.
A Sarnano si è svolto lo spettacolo itinerante Guerrino e il Meschino a cura del Circolo di Piazza Alta, mentre a Pretare c’è stato il consueto spettacolo della Discesa delle Fate .
La compagnia di Piazza Alta guida gli spettatori in una passeggiata attraverso le tappe del viaggio di Guerrin Meschino, che diventano in realtà occasioni per visitare diverse zone di Sarnano e raccontarle, ripercorrendo la storia della città. Il viaggio del Meschino termina in Piazza Alta, al teatro, originaria sede della compagnia teatrale; qui la Sibilla recita un monologo che ci fa riflettere sul ruolo delle tradizioni orali. Quest’anno (io l’ho visto per la prima volta) la reggia di Sibilla era allestita in piazza perché il teatro è stato danneggiato dal terremoto e gli attori hanno quindi ragionato col pubblico sulla possibilità di far ripartire le loro attività in un spazio nuovo.
Lo spettacolo di Pretare, invece, mette in scena la leggenda che è il “mito di fondazione” del paese: in tempi antichi la malvagia Sibilla è gelosa della felicità degli abitanti di Colfiorito e scuote la terra radendo al suolo il paese, restano i pastori, senza compagne. La gelosia di Sibilla arriva fino a imprigionare le buone fate, che scendono in segreto di notte a danzare con i pastori. Le fate non devono farsi scoprire, nascondono ai pastori le loro zampe caprine e al sorgere del sole tornano di corsa alla reggia di Sibilla.
Un giorno la fuga delle fate viene scoperta, la Sibilla le incatena e ci sarà bisogno dell’intervento di Guerrin Meschino per liberarle e sconfiggere la malvagia regina. Finita la battaglia, le fate liberate daranno inizio con i pastori alla città di Pretare. A Pretare la festa si tiene ogni tre anni e l’ultima edizione ha avuto luogo nel 2015. Poi c’è stato il terremoto e sappiamo tutti che quella è stata una delle zone più danneggiate. Però, lontani dal lasciarsi scoraggiare, con fatica e impegno, gli abitanti del paese sono riusciti a rimettere insieme lo spettacolo e a non mancare la scadenza del 2018. Nella rappresentazione del “dopo terremoto” c’è un nuovo livello di narrazione, rappresentato da Alberto, un cittadino di Pretare che viene condotto da un frate ad assistere agli eventi che hanno fondato il suo paese: vede le fate, i pastori, la Sibilla e Guerrino, e proprio Guerrino lo incoraggia a non perdere la speranza davanti alle difficoltà, così come fecero i pastori: i “nonni dei suoi nonni dei suoi nonni”.
Le differenze tra spettacoli e romanzi
Per chi conosce bene i testi dei romanzi e le varie stratificazioni della leggenda, è stato facile riconoscere i cambiamenti e gli aggiustamenti fatti, nessuno dei quali è privo di senso, tutti sono invece funzionali a raccontare, con una leggenda del passato, una storia di oggi.
La missione di Guerrin Meschino nel romanzo è quella di conoscere il nome di suo padre, mentre il Guerrino di Pretare si impegna a liberare le fate dall’incantesimo di Sibilla, è lui, quindi, lo “strumento” attraverso il quale si compie il destino dei pastori fondatori di Pretare. Come nel romanzo Guerrino rischia di fallire nella sua impresa e di perdersi nell’amore per Sibilla, ma ecco che una delle fate gli mostra il futuro: la perfida sibilla scuoterà ancora la terra e causerà sofferenza alla gente di Pretare, Guerrino si risveglia dal momentaneo sogno d’amore e compie valorosamente il suo dovere: libera le fate e rende possibile la nascita di Pretare. Nel finale, Guerrino non dimentica di ricordare ad Alberto che questa fatica dovra essere ricordata in futuro, e che i pretaresi dovranno fare onore al suo sacrificio non abbandonando il paese, nemmeno nei momenti di difficoltà.
Il messaggio è molto chiaro: il terremoto non è una cosa astratta, è un problema concreto e può essere sconfitto, così come Guerrino ha sconfitto la Sibilla.
A Sarnano, invece, ci appaiono personaggi che non sono presenti nel libro ma rivestono un ruolo importante nella storia del territorio, ad esempio i mazzamurelli, protagonisti di tanti racconti, e San Francesco, che secondo la leggenda donò alla comunanza di Sarnano lo stemma col serafino. Tutti i personaggi che si incontrano lungo il cammino descrivono un particolare della città e della sua Storia e il viaggio di Guerrino diventa un viaggio di tutti gli spettatori nella storia di Sarnano. Anche qui il messaggio è positivo e propositivo: c’è ancora da fare e da vedere a Sarnano, nonostante il terremoto.
Ovviamente, a testimoniare che siamo nel XXI secolo, sono presenti una serie di riferimenti e invenzioni più recenti o più “pop”.
Così la Sibilla di Pretare indossa gli abiti di Malefica della Disney (da La Bella Addormentata), simile alla versione del film con Angelina Jolie, con un carattere a metà tra “bontà ferita” e “malvagità senza scrupoli” (in realtà Malefica e Sibilla hanno molte cose in comune, tra le quali la somiglianza con l’antica maga Circe…). Alberto, col suo mantello rosso, e il frate che gli fa da guida, ricordano invece Dante e Virgilio per come li abbiamo visti rappresentati migliaia di volte…
Il senso della tradizione
Quello che viene trasmesso dalla tradizione è soggetto a mutamento e questo è il bello (e l’utile!) di questi racconti: l’essere sempre vivi e sempre attuali perché parlano sempre e comunque della civiltà che li ha prodotti. Le persone di Sarnano e Pretare l’hanno dimostrato: hanno “usato” le loro tradizioni, la loro storia passata e quella attuale, e hanno saputo raccogliere ogni singolo pezzetto della loro identità e ricostruirlo, per creare una storia nuova, con tutte le cicatrici del caso ma proprio per questo più forte e “vera”.
Sono abituata a sentir parlare delle leggende dei sibillini in maniera approssimativa e poco documentata e me ne dispiaccio sempre. Questa volta sono stata “consolata” da questi spettacoli, perché chi li ha scritti conosce le proprie tradizioni, sa cosa farci, e non ha bisogno di “esperti” che svelino chissà quali misteri…
Riscoprire i racconti che hanno fondato il nostro presente serve per dare un valore alla realtà che bisogna gestire oggi: queste due rappresentazioni ne sono un esempio lampante.
La Sibilla di Sarnano, alla fine del viaggio del Meschino, ci dice delle cose molto significative che danno ancora più senso a tutti questi discorsi: “Il mondo è fatto di storie, i luoghi sono fatti di storie, voi stessi non siete altro che un insieme di storie: quelle raccontate agli altri, quelle che raccontate a voi stessi, quelle di cui vi atteggiate a personaggi, quelle date dai ricordi nella vostra testa. Le storie vi hanno resi umani, la capacità di inventarne vi rende creatori”.
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